Manuela Giacchetta
Autrice di La chiave di Nona
Manuela Giacchetta è nata 1972 a Fabriano (AN). Attualmente vive e lavora ad Ancona. Ha pubblicato “Bowling e margherite” (Las Vegas edizioni, 2011) e “La collezione Lancourt” (Las Vegas edizioni, 2013).
Il suo ultimo romanzo è “La chiave di Nona” (Las Vegas edizioni, 2022).
Primo capitolo
Capitolo 1
Oggi.
Ulisse. J. Joyce. Pagina 148.
Ce la posso fare.
Ma non ce l’avrebbe fatta. E Lorenzo lo sapeva, lo aveva saputo nel momento stesso in cui lo aveva preso in mano, l’Ulisse. Quello di Joyce. Perché c’erano di quei libri di cui subivi il fascino, che ti suadevano infingardi con il loro titolo o il loro autore o la loro quarta di copertina e poi ti abbandonavano bastardi dopo la prima pagina. O peggio, dopo la prima riga.
Lorenzo lo aveva comprato a diciott’anni l’Ulisse. Ovvero la bellezza di dieci anni prima. Di norma a diciott’anni ci si comprava la macchina o al limite ci si impegnava nel primo coito interrotto con la puttana pagata dalla colletta dei cari amici. Lorenzo no, lui s’era comprato l’Ulisse di James Joyce. Come il peggiore degli sfigati. Però s’era pure comprato la macchina, in effetti. Sì, infatti, non era poi così sfigato. Ma se pensava che erano la bellezza di quasi quattro anni che arrancava su quelle pagine e che iniziavano pure a puzzare di nuovo stantio cominciava, come dire, a dubitare della sua sanità mentale.
O forse l’unica sanità mentale della quale doveva preoccuparsi era quella di Cionco, che aveva ancora il coraggio di parlare a quell’ora.
«Capisci?» pretendeva pure.
«Mm-m» rispose Lorenzo, all’apice di un vaffanculo.
«In fondo è strano, no?» incalzò lui. «Te ne rendi conto solo all’improvviso.»
«Mm-m.»
Mm-m era il massimo della sua partecipazione emotiva dopo esattamente due ore e ventisette minuti che stava ciondolando la testa in cenno di inconfutabile attenzione.
«È un po’ come la storia dell’ombelico. Sai qual è la storia dell’ombelico? Lorenzo, ma mi ascolti?»
Lorenzo racimolò l’ossigeno con evidente, spossata difficoltà.
«Senti Cionco, sono le tre e mezzo di notte, la mia quarta birra è finita da due ore, Elisabetta non telefona e tu mi vieni a parlare di ombelichi?»
Avariato. È questo che Lorenzo pensò dell’ossigeno nei polmoni. Sperò soltanto che Cionco sorvolasse sull’unico nome che non avrebbe mai dovuto pronunciare in presenza di qualcun altro.
«Guarda che è interessante. E poi scusa non ho capito… Elisabetta?»
Cionco non aveva affatto intenzione di sorvolare sull’unico nome che moriva dalla voglia di sentire.
«Una volta non avevi detto… aspetta… com’era… “l’uomo che permette a una donna di spezzargli il cuore, non è un uomo, è uno squacquerone”? Guarda che lo avevi detto te.»
Cionco era un bastardello. Ma i buoni amici servivano a quello, dopotutto: a ricordarsi di tenere la bocca chiusa.
«Beh, sì, e allora? Lo avevo detto prima che Elisabetta… lo avevo detto prima di Elisabetta. Senti Cionco, lasciamo stare, non mi va per niente di parlare di Elisabetta.»