
Gianluca Mercadante
Autore di Banda cittadina
Gianluca Mercadante è nato nel 1976 a Vercelli. Ha pubblicato “McLoveMenu” (Stampa Alternativa, 2002), “Il banco dei somari” (NoReply, 2005), “Nodo al Pettine - Confessioni di un parrucchiere anarchico” (Alacràn, 2006), e per Las Vegas edizioni “Polaroid” (2008), “Cherosene” (2010), “Caro scrittore in erba...” (2013; 2021). “Caro lettore in erba...” (2015), “Casinò Hormonal” (2018), “Le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile” (2020), “L’Isola Senza Tempo” (2020) e “Banda cittadina” (2024).
Questo è il suo sito.
Primo capitolo
Overture
“Ifix, tcen tcen!”
Sandrino quel pomeriggio fu quanto meno perentorio.
«Vieni subito qui» ordinò secco al telefono.
Ci sentivamo tutti i santissimi giorni, Sandrino e io. Puntuali e critici, commentavamo in diretta le azioni sul campo del nipponico duo di calciatori protagonista della fortunata serie di cartoni animati Holly e Benji. Stava appunto per cominciare la puntata del giorno, e ce ne volevano almeno cinque o sei, vale a dire la programmazione di un’intera settimana, perché una singola partita terminasse, tra approfondimenti psicologici, flashback e flussi interiori.
Dev’essere per questo che non sono mai diventato un tifoso: le partite vere durano troppo poco, novanta minuti ed è tutto finito.
Obbediente al richiamo, e in sella alla mia fida Bmx, attraversai di filata i quartieri che separavano le nostre rispettive case. Abitavo coi miei dalle parti dell’ospedale Sant’Andrea e la sirena dell’ambulanza veniva spesso salutata da papà, che soleva dire al suo frequente passaggio: “Auguri e figli maschi”. D’accordo augurare il bene, al prossimo tuo, e d’accordo che il mio genitore usava esorcizzare in questo modo la drammaticità del momento in cui si è ospiti di un simile mezzo, per non parlare poi della drammaticità del vivere affacciati su una delle principali vie d’accesso all’unica struttura ospedaliera cittadina, ma se tutte le ambulanze che sentivamo schizzare avanti e indietro a sirene spiegate avessero contenuto una nuova vita, a quest’ora Vercelli spiccherebbe senz’altro in cima alla classifica delle città più popolose del Belpaese. Invece, la gente, da queste parti, tende ad andarsene. Tante volte per lavoro, tante volte per cause naturali. Così è, così sarà nei secoli dei secoli, amen. E tanti auguri e figli maschi, se può servire.
Sandrino, di contro, era allocato abbastanza vicino al centro, anche lui nondimeno a carico della famiglia. Si aveva del resto sì e no quei tredici, quattordici anni, all’epoca, e tra casa mia e casa sua, a patto di essere padroni di una buona pedalata, ci s’impiegavano grossomodo dieci minuti, risalendo proprio lungo via Paggi, la via delle ambulanze, quindi a rotta di collo su viale Garibaldi, per uno slalom finale tra panchine e tavolini di bar che, nella bella stagione, non sanno mai dimostrarsi del tutto bastevoli al contenimento dell’ondata anomala composta da famiglie, fidanzatini in fregola e compagnie di ragazzotti un tantino più in età di noi, che all’allungarsi delle giornate spuntavano, numerosi e caciari, da chissà quali segreti pertugi.