Gianluca Mercadante
Autore di Banda cittadina
Gianluca Mercadante è nato nel 1976 a Vercelli. Ha pubblicato “McLoveMenu” (Stampa Alternativa, 2002), “Il banco dei somari” (NoReply, 2005), “Nodo al Pettine - Confessioni di un parrucchiere anarchico” (Alacràn, 2006), e per Las Vegas edizioni “Polaroid” (2008), “Cherosene” (2010), “Caro scrittore in erba...” (2013; 2021). “Caro lettore in erba...” (2015), “Casinò Hormonal” (2018), “Le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile” (2020), “L’Isola Senza Tempo” (2020) e “Banda cittadina” (2024).
Questo è il suo sito.
Primo capitolo
Cherosene
1.
Se c’è una cosa che odio è il campanello che suona quando sono appena venuto. Non che accada spesso. Anzi, è successo trenta secondi fa. Ma nemmeno per uno solo di questi trenta maledetti secondi già passati ho smesso di smadonnare, immaginando fin troppo bene chi possa essere stato: è il cinque del mese, del mese dispari, pertanto è arrivata la bolletta della luce sulle scale, di là. E quella vecchia pazza si è fatta nientemeno che il giro della città per venire a lamentarsi con me delle solite cose.
Provo una certa gioia nel trovare conferma alle mie ipotesi quando scendo le scale interne e le apro il portoncino d’ingresso di un solo quarto, occupando col mio corpo seminudo lo spiraglio attraverso cui voglio annusi con chiarezza odor di palle in giostra.
«Eri sotto la doccia?» chiede pure, con la faccia da “volevo disturbare, ma adesso che ho disturbato sono incapace d’improvvisare sul tema”.
«Maria…» le dico, aggiustandomi in vita l’elastico dei pantaloni della tuta quanto più esageratamente mi riesca «…no, stia tranquilla. Non ero in bagno.»
A buon intenditor. Poi riprendo, come non lo sapessi già: «Desidera?»
«I nuovi non pagano» dice. «Io, che devo fare?»
«E a me lo chiede? Lo domandi a loro.»
«Sono venuta fino a qua, Pietro, tu mi conosci e lo sai. Del mio cuore e tutto. Se non pagano, i soldi li voglio da te.»
«Maria, ne abbiamo già parlato.»
«Insomma, Pietro!» s’infervora, la baciapile, come immagino faccia di consueto il suo pastore, ogni benedetta mattina a messa.
Se c’è una cosa che odio ancora peggio del mio campanello che suona quando sono appena venuto, sono i baciapile. La mia ex vicina di casa, Sig.ra Rivello Maria, vedova Monfalcone, di anni settantadue, convivente con tale Ferdinando Gennaro, mai capito qual è il nome e qual è il cognome, di anni sessantotto, è un’eccellente rappresentante della tipologia. Ma ci andassero tutti, e per sempre, nel paradiso che s’illudono di meritare a forza di padrenostri.
«Maria!» la fermo subito, innervando di pochissimo il mio naturale registro vocale verso l’alto, il minimo indispensabile da stopparla. «Le ricordo che quello non è più il mio appartamento. L’ho venduto.»
«E proprio agli zingari dovevi venderci la casa?!» grida ancora, verde in viso.
«Se n’è occupata l’agenzia. In ogni caso: loro sono i vostri nuovi vicini di casa, loro vi devono dare i soldi. Ve li danno? Bene. Non ve li danno? Pace. Ma io, oltre al fatto che non c’entro più niente con voi, non voglio più saperne.»
La baciapile scoppia a piangere.
Giuro: non so cosa fare. Vorrei sbatterle il portone in faccia e tornare di là, ma qualcosa mi persuade a desistere.