Giorgio Pirazzini
Autore di I cattivi pensieri
Giorgio Pirazzini è nato nel 1977 a Faenza (RA). Ha pubblicato “Un unicorno ti trafiggerà” (Freaks, 2011), “9 notti a Parigi” (Miraggi, 2011) e “La notte raccolgo fiori di carne” (Las Vegas edizioni, 2011), “I cattivi pensieri” (Las Vegas edizioni, 2013), “Gattoterapia” (Baldini&Castoldi, 2016).
Primo capitolo
Venezia, 17 novembre 2011, ore 18:32
Il treno da Mestre sta per partire. Mi alzo il bavero del cappotto mentre corro lungo il sottopassaggio e le bottiglie di vino nella borsa a tracolla tintinnano e stanno per scivolare fuori. Faccio gli scalini tre alla volta e, senza verificare che sia quello giusto, salto sul treno che chiude le porte nell’istante in cui mi piego con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Poteva fare con calma. C’è un treno ogni dieci minuti» dice il controllore che ha seguito la scena dalla carrozza. Gli mostro il biglietto, ansimo e cerco di rispondergli che ha ragione, ma non ho fiato. Mi siedo per riprendermi nei dieci minuti che separano la terraferma da Venezia.
Alla stazione Santa Lucia l’altoparlante ci avverte che, a causa dell’acqua alta, il vaporetto per San Marco ha dei ritardi, ma non gravi. Decido di non tentare la sorte a piedi e aspetto sulla banchina fra i turisti che si guardano attorno e in alto a bocca aperta, e i veneziani, dall’altra parte del cancello, che guardano i turisti ferocemente.
Scendo davanti all’Harry’s Bar e attraverso piazza San Marco ricoperta da cinquanta centimetri di Adriatico. Sotto una pioggia battente snobbo le passerelle rialzate e passeggio con l’acqua alle cosce distruggendo un paio di polacchine Crockett & Jones e il lembo inferiore del cappotto su misura fatto a Savile Row l’anno scorso.
Davanti a me, nel mare che riprende possesso della piazza, vedo una lancia spuntare a fior d’acqua e poi inabissarsi. Un pesce spada perdutosi davanti a San Marco. Salgo velocemente sulla passerella spaventato dall’idea di essere infilzato all’inguine da un pesce che si dibatte sciabolando la lama in preda al panico.
Al 13 di Calle dei Fabbri suono il campanello Ruggeri. Una signora che sta uscendo dal portone abbassa gli occhi guardandomi dalla vita in giù. Porta un paio di stivali bianchi e una giacca di volpe argentata corta alla vita.
«Anche oggi l’acqua alta, oh!» dice, contrariata. «Ma non c’erano le passerelle?»
«Ci sono, signora, non si preoccupi. Le ho viste troppo tardi.»
«Ma ha rovinato il cappotto, mi dispiace. Un così bel cappotto.»
«È solo un cappotto» le sorrido.
Salgo le scale fino al quarto piano dove l’uscio è socchiuso.
«Permesso» urlo per annunciarmi. Ruggero viene ad accogliermi vestito con un grembiule sporco di pomodoro e di una salsa marrone.
«Sei tutto bagnato. Non c’erano le passerelle?»
«Era bello passeggiare nella piazza allagata. Però adesso ho bisogno di scaldarmi. Ti dispiace se faccio una doccia?»
«Accomodati» dice mentre torna a passo svelto in cucina. «Massimiliano e Tommaso stanno tornando da Bassano. Hanno telefonato un minuto fa dicendo che avevano appena parcheggiato al Tronchetto.»
«Al Tronchetto? Come fanno con la macchina poi?»
«Non è un problema nostro.»
«Sono diventati grandi amici quei due.»
«Gente come noi non riesce a detestarsi a lungo» sta affettando una cipolla, poi alza la testa facendo un lungo respiro e resiste alla tentazione di strofinarsi gli occhi. «C’è un accappatoio pulito nell’anta destra dell’armadio in camera mia» indica la direzione puntando il coltello.