Matteo di Pascale
Autore di Il piano inclinato
Matteo di Pascale è nato nel 1987 ad Alessandria e vive a Torino. È un creativo multidisciplinare: ha lavorato come copywriter e designer in agenzie di pubblicità. Ha pubblicato “La storia dell’ultimo arlecchino” (OTMA) e “La lezione di Milano” (Blonk Edizioni). È autore di Intùiti, Fabula e Cicero, tre strumenti per la creatività e la scrittura applicata. Per las Vegas edizioni ha pubblicato “Il piano inclinato”.
Primo capitolo
Diavoletto
Nicky rideva. Sdraiata sulla poltrona, sollevava nell’aria le sue gambe lunghe e nude, e spingeva il collo teso del piede oltre la zona d’ombra, fin dentro la luce notturna della strada.
Non aveva davvero le gambe lunghe, rifletteva Francesco sul divano dall’altro lato della stanza. Nicky non era più di un metro e sessanta, ma le proporzioni del suo corpo erano ben bilanciate, mani, polsi, collo, viso, bocca, tutto in lei era piccolo e sottile, dando adesso l’illusione di una figura longilinea. In verità era una donna in miniatura. Con la schiena appoggiata contro il bracciolo, slanciava prima la gamba destra, poi la sinistra, in uno svago da ballerina a cui dedicava grande attenzione. I suoi occhi neri ammiccavano e lei sorrideva compiaciuta di quella piccola prodezza.
I loro vestiti erano ancora sparsi per terra e sul letto. Francesco aveva avuto appena il tempo di aprire la finestra e accendere una sigaretta, e già Nicky aveva ripreso a provocarlo. Sembrava essere diventato il suo passatempo. L’aveva fatto per tutta la sera, sia giù in strada che nei bar in cui erano andati, si appoggiava alle balaustre e, piegata in avanti, si girava a guardarlo, oppure lo precedeva a passo svelto per aspettarlo con la schiena contro il muro e sfuggiva prima che lui potesse baciarla. Nell’ultimo locale dov’erano stati si era sdraiata sul tavolo, si era passata le mani aperte dal ventre al petto, e infine aveva inarcato tutto il corpo come una gatta. Per Francesco era stato troppo, aveva buttato giù l’ultimo dito di Jägermeister rimasto nel bicchiere e si era alzato.
«Basta. Ti porto a casa» le aveva detto.
«Come mai? Cosa vuoi farmi?» aveva chiesto lei, deliziata da quella sua reazione improvvisa.
«Lo sai benissimo.»
«Sì, ma voglio sentirtelo dire.»
«Sei proprio un diavoletto, lo sai?»Diavoletto
Nicky rideva. Sdraiata sulla poltrona, sollevava nell’aria le sue gambe lunghe e nude, e spingeva il collo teso del piede oltre la zona d’ombra, fin dentro la luce notturna della strada.
Non aveva davvero le gambe lunghe, rifletteva Francesco sul divano dall’altro lato della stanza. Nicky non era più di un metro e sessanta, ma le proporzioni del suo corpo erano ben bilanciate, mani, polsi, collo, viso, bocca, tutto in lei era piccolo e sottile, dando adesso l’illusione di una figura longilinea. In verità era una donna in miniatura. Con la schiena appoggiata contro il bracciolo, slanciava prima la gamba destra, poi la sinistra, in uno svago da ballerina a cui dedicava grande attenzione. I suoi occhi neri ammiccavano e lei sorrideva compiaciuta di quella piccola prodezza.
I loro vestiti erano ancora sparsi per terra e sul letto. Francesco aveva avuto appena il tempo di aprire la finestra e accendere una sigaretta, e già Nicky aveva ripreso a provocarlo. Sembrava essere diventato il suo passatempo. L’aveva fatto per tutta la sera, sia giù in strada che nei bar in cui erano andati, si appoggiava alle balaustre e, piegata in avanti, si girava a guardarlo, oppure lo precedeva a passo svelto per aspettarlo con la schiena contro il muro e sfuggiva prima che lui potesse baciarla. Nell’ultimo locale dov’erano stati si era sdraiata sul tavolo, si era passata le mani aperte dal ventre al petto, e infine aveva inarcato tutto il corpo come una gatta. Per Francesco era stato troppo, aveva buttato giù l’ultimo dito di Jägermeister rimasto nel bicchiere e si era alzato.
«Basta. Ti porto a casa» le aveva detto.
«Come mai? Cosa vuoi farmi?» aveva chiesto lei, deliziata da quella sua reazione improvvisa.
«Lo sai benissimo.»
«Sì, ma voglio sentirtelo dire.»
«Sei proprio un diavoletto, lo sai?»