Manuela Giacchetta
Autrice di La chiave di Nona
Manuela Giacchetta è nata 1972 a Fabriano (AN). Attualmente vive e lavora ad Ancona. Ha pubblicato “Bowling e margherite” (Las Vegas edizioni, 2011) e “La collezione Lancourt” (Las Vegas edizioni, 2013).
Il suo ultimo romanzo è “La chiave di Nona” (Las Vegas edizioni, 2022).
Primo capitolo
Parigi, 1908
Al suono del campanello Jerome Lancourt sollevò il pennello dalla tela.
«Chi sarà adesso?» chiese brusco al fratello seduto lì vicino con un libro in mano.
François appoggiò una mano aperta sulla pagina per non perdere il segno.
«Dovrebbe essere la ragazza che legge.»
«Un’altra?» commentò Jerome schiacciando infastidito le setole sulla tavolozza, scurendo il colore e l’umore.
«Lo sai che la mamma è esigente» disse François rivolto verso la porta, aspettando che la domestica aprisse.
«È la quinta donna che viene in un mese. Non ne troverà mai una che le andrà a genio. Lo sai meglio di me» rispose Jerome chinandosi sopra la tela, come specchiandosi.
E in un certo senso sembrava che lo stesse facendo, specchiarsi, perché il dipinto al quale stava lavorando era il suo autoritratto.
«Questa volta è diverso» aggiunse François. «Sembra che la ragazza che sta arrivando abbia lavorato per uno scrittore.»
«E allora? Che razza di qualifica è?»
«Pare che gli facesse leggere a voce alta tutto quello che scriveva.»
«Uno “scrittore”» ripeté Jerome con un sorriso acido. «Già me l’immagino che tipo d’uomo. Un alcolizzato senza soldi che sarà andato per bettole a cercarsi una donna. E avrà trovato lei.»
Jerome Lancourt ci lavorava da anni al suo autoritratto, un’ora al giorno, anche se in privato si era sempre definito un paesaggista.
«Uno scrittore famoso, sembra» continuò François, senza voler contraddire il fratello.
«Se non è morto, non sarà poi così famoso» replicò, secco.
In pubblico invece, durante i rari incontri mondani, Jerome Lancourt si proclamava prima di tutto un pianista mancato.
«Tu hai le mani da pianista, tesoro» gli diceva sua madre, da piccolo, mentre gli cambiava la pezza bagnata sulla fronte. «Diventerai un famoso concertista» aggiungeva sempre, ogni volta che stava male.
E per gran parte dell’infanzia, Jerome Lancourt era stato spesso
sul punto di morire. Tutti parlavano sottovoce quando c’era lui nella stanza, tanto che Jerome aveva spesso avuto, da bambino, l’impressione di essere invisibile, o di essere già morto.
«Voglio fare il pittore» aveva invece detto Jerome, un giorno in cui finalmente quel pallore moribondo sembrò lasciarlo.
La madre lo aveva abbracciato stretto, baciandolo con tutta la dolcezza profumata di cui era sempre stata capace.
«Diventerai tutto quello che vorrai, tesoro mio.»
Jerome Lancourt aveva poi cercato di diventarlo, quello che voleva: un ritrattista.