Serial killer per fiction e per davvero

di Cristina Brondoni

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Non c’è nulla di ordinato, patinato, preciso e artistico negli omicidi reali. Forse è per questo che la fiction attrae un grande pubblico: perché la realtà è mediata dalle sceneggiature.
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I serial killer esercitano su lettori e spettatori un fascino sinistro. Prova ne sono i thriller e le serie tv in cui gli antagonisti sono assassini seriali sempre più efferati. Nella realtà, però, i serial killer rappresentano un numero infinitesimo sulla totalità dei criminali. Ma è indubbio che le loro azioni, spesso perpetrate per anni e ai danni di molte, moltissime vittime, vengano studiate da esperti di tutto il mondo per provare a comprenderne le motivazioni. E, nel contempo, per tentare di ridurre il fenomeno.

Il saggio propone lo spaccato dei serial killer raccontati dalla fiction facendone poi un confronto con la realtà. Ne emerge, in qualche caso, una realtà più agghiacciante rispetto a qualsiasi romanzo, serie tv o film. Forse perché la realtà è tutt’altro che patinata e non lascia spazio ad alcun lieto fine. Le vittime sopravvissute ai serial killer, infatti, rendono racconti orrorifici dei loro sequestratori e delle ore o dei giorni che hanno dovuto trascorrere con loro.

Pagine: 109
Formato cartaceo: 15 x 21 cm
Formato ebook: epub senza DRM
Uscita: ottobre 2022
Isbn cartaceo: 9788831260220
Isbn ebook: 9788831260237

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Cristina Brondoni

Cristina Brondoni

Autrice di Seria killer per fiction e per davvero

Cristina Brondoni è nata e vive a Milano. Giornalista e criminologa, è autrice dei saggi “Dietro la scena del crimine” (Las Vegas, 2015), “Le case dei serial killer” (Clown Bianco, 2022), “Serial killer per fiction e per davvero” (Las Vegas, 2022) e dei manuali “Il soccorritore sulla scena del crimine” (Edizioni Giuridiche Simone, 2015), “Sembrava un incidente” (Aras Edizioni, 2018).
Ha pubblicato due romanzi thriller: “Voglio vederti soffrire” (Clown Bianco, 2019), “L’appartamento dell’ultimo piano” (Clown Bianco, 2020) e a breve uscirà il terzo della serie.
Come criminologa è consulente in casi di omicidio, suicidio e morte sospetta.

Primo capitolo

Premessa

La precisione nel ricreare il disordine di un evento violento, il divano in vimini verde, le sedie, i cuscini démodé e il corpo. Che corpo non è. Si tratta infatti di una bambola. Il tutto in miniatura. Una veranda, in questo caso, in cui a terra ci sono giornali, una lampada e molto altro a raccontare la fine di quella bambola, la testa fuori da una finestra spaccata.
Probabilmente se avete visto CSI: Scena del crimine vi sarà venuto in mente l’episodio. Il Killer delle Miniature è tra i personaggi televisivi più affascinanti e inquietanti. Nella realtà, stando alla letteratura scientifica, non si è mai visto un assassino di questo tipo: nessuno che abbia realizzato ambienti in scala uno a dodici, li abbia recapitati a un detective, per poi procedere con l’omicidio rappresentato. Ma qualcosa di reale nelle puntate dedicate al Killer delle Miniature c’è. Ed è Frances Glessner Lee. Appassionata sia di case di bambola che di crimine, è stata la prima a realizzare scene del crimine in miniatura. Ancora oggi le miniature possono essere ammirate, quando esposte, e servono da training alle reclute: siamo ai primordi del 3D. Osservando, infatti, le miniature si possono scorgere indizi: una traccia di sangue, un fucile abbandonato a terra, delle macchie sospette. Proprio come fa Gil Grissom, il responsabile del turno di notte del Dipartimento di Scienza Forense della polizia di Las Vegas. Lente di ingrandimento e santa pazienza, osserva tutto ciò che il killer gli ha lasciato. E anche quello che non avrebbe voluto lasciare, come nel caso della miniatura della veranda. Una vecchia signora verrà trovata nella stessa posizione della bambola. Ma qualcosa dev’essere andato storto durante l’omicidio. La signora, infatti, è stata uccisa da una dose letale di nicotina mischiata al liquore alla ciliegia che era solita bere in quantità piuttosto generose. Malata terminale di cancro, l’alcol era l’ultimo dei suoi problemi e, anzi, forse rappresentava l’unica àncora di salvezza nel mare della disperazione. Il killer, però, non aveva considerato che la morte per avvelenamento da nicotina non è affatto pulita, composta e indolore. Tanto è vero che la sua vittima, appena la sostanza entra in circolo, si alza dalla poltrona, si agita, gira per la veranda e, quasi certamente in cerca di aria, si dirige verso le ampie vetrate che, disgraziatamente, sfonda cadendoci contro. Trova la morte così Penny Garden, finendo uccisa da una scheggia di vetro prima ancora che dalla nicotina.
Grissom risale a come agisce l’assassino da un residuo di colla sulla poltrona in miniatura, la stessa colla si trova sui vestiti della bambola: come nella migliore tradizione delle case di bambola, tutto è statico, immobile, cristallizzato. E per far sì che ogni elemento resti al suo posto, si usa la colla. Il killer, quindi, aveva inizialmente messo la sua bambolina sulla poltrona e lì l’aveva fatta morire. Ma quando aveva agito nella realtà (la realtà parallela che è la fiction televisiva), Penny non era affatto rimasta seduta. Così, prima di recapitare la miniatura a Grissom in un gioco che diventa sfida, era stato necessario fare i dovuti cambiamenti. E quel residuo di colla era stato per l’investigatore un dato fondamentale. E un punto di partenza. Penny era stata uccisa prima che la miniatura gli venisse data, diversamente il killer non avrebbe potuto più cambiare la scena.

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