Chi mi conosce lo sa: non amo particolarmente il genere fantasy. Inoltre qui a Las Vegas evitiamo i generi classici, fantasy compreso, per cui in apparenza La bambina di un milione di anni non aveva chance di essere scelto tra le nostre pubblicazioni.
Dopotutto questa è la storia di due entità che si fronteggiano da millenni: l’Eroe e il Necromante! Qui c’è un sacco di fantasy!
Ma perché abbiamo deciso di pubblicare La bambina di un milione di anni?
Prima di tutto perché non è soltanto un fantasy. Le due entità di cui sopra vivono attualmente nel nostro mondo, in un piccolo paese del centro-sud dell’Italia. È una storia che mischia in maniera sorprendente elementi fantastici e senza tempo con i temi attualissimi dell’immigrazione e dello scontento che agita la provincia italiana.
Ancora una volta Lorenzo Vargas mi ha fregato. Ci era riuscito con Una più del Diavolo, in cui aveva creato un urban fantasy ambientato nella Napoli di oggi, mischiando personaggi contemporanei e antieroici, come il protagonista Giovanni Archei, con personaggi soprannaturali, angeli, demoni e persino Dio.
Ma quello che colpisce di più di questi due romanzi è che Vargas associa sempre una grande accuratezza delle fonti citate (e sono tantissime) a uno stile ironico che riesce a farsi apprezzare anche da chi non si ritiene un appassionato del genere.
Provate a immergervi nei suoi mondi e poi ditemi.
A Montebasso, un letargico paesino di tremila anime, vivono sotto copertura due entità antichissime, incarnazioni dell’Ordine e della Distruzione: l’Eroe e il Necromante.
Il primo ha l’aspetto di Gabriela, una bambina di otto anni con lunghi boccoli da bambola e lo sguardo vecchio di millenni; il secondo veste i panni di Neri, il tetro e allampanato guardiano del cimitero del paese. Passano le giornate come due pensionati, ricordando nostalgici i tempi andati e facendo di tutto per mantenere segreta la propria identità. Oltre a loro, l’ignara Montebasso ospita anche una comunità di migranti arroccati nel centro storico semidistrutto da un terremoto e impazienti di fuggire altrove. E gli autoctoni ben sistemati nella città nuova appena fuori le mura non vedono l’ora di riprendersi ciò che avevano abbandonato già da tempo.
Nel paesino dove non succede mai niente sarà la commistione di questi elementi a far esplodere una polveriera umana senza precedenti.
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